Aleksander Brodsky, nato a Mosca nel 1955, è architetto di formazione; vive a Mosca, dove esercita la professione come uno degli architetti più amati e internazionalmente riconosciuti della Russia di oggi. Nel suo lavoro di ricerca egli ha portato “la sua grande immaginazione di artista visivo nel mondo dell’architettura” (Vitalij Komar), sviluppando così parallelamente il linguaggio artistico e tecnico-scientifico. La forte continuità tra artista e architetto è dovuta anche alla scelta dei materiali utilizzati: legno grezzo, cartone, latta, terracotta, oggetti riciclati. Materiali, comunque, che portano su di sé i segni del tempo.
Tra i suoi edifici realizzati: il Ristorante 95° (Baia della gioia, dintorni di Mosca, 2000), una struttura obliqua sul modello di antiche palafitte e Vodka Drinking Pavilion (Art Kljazma, Mosca 2003), realizzato con telai di finestre recuperati da fabbriche smantellate. Tra i maggiori lavori artistici: The Canal Street Subway Project commissionato dal Public Art Fund (New York 1996), Palazzo nudo (Pittsburgh 1999), Koma (Mosca 2000, progetto vincitore del Premio-Milano in Triennale, 2001).
Architettura di carta
Aleksander Brodsky è stato, negli anni ’80, uno dei maggiori esponenti del movimento Bumazhnaja Architektura (Architettura di carta). In quegli anni di stagnazione brezhneviana e agli albori della perestrojka, un gruppo di giovani architetti moscoviti si liberò dai modelli di un’architettura standardizzata e autocelebrativa, scegliendo di lavorare piuttosto in una dimensione parallela di progetti puramente di carta, programmaticamente irrealizzabili. Sintesi di elementi architettonici, grafici, letterari, umani e naturali, queste fantasie architettoniche si proponevano come fenomeno culturale autonomo. Nonostante la non ufficialità in patria, i giovani architetti dell’Istituto MArchI di Mosca si garantirono sopravvivenza e fama partecipando, anche illegalmente, ai concorsi internazionali indetti da UNESCO, OISTAT e riviste come Architectural Design, Domus e Japan Architect.
A differenza delle utopie visionarie del Costruttivismo degli anni Venti, le architetture di carta di Aleksander Brodsky (le incisioni degli esordi, così come quelle contemporanee) sono il prodotto di una vertigine di punti di vista, che aprono la visione su una pluralità di mondi e di possibilità interpretative. La composizione diventa così un intreccio di infinite possibilità combinatorie. La profezia stilistica lascia spazio al gioco di forme e stili: se nei progetti utopici dei Costruttivisti degli anni Venti la dimensione fondante del tempo era l’eternità, questi progetti sono invece episodi temporanei. Come Aleksander Brodsky e Ilya Utkin hanno scritto nell’incisione Nameless River (1986) : “It signifies neither the beginning nor the end of anything; the boundary between the past and the future slips forward continually. The boundary is ourselves”. Siamo noi stessi a determinare il confine tra passato e futuro, è ciò che il Premio Nobel Gerald Edelman ha definito presente ricordato: “l’esperienza passata contribuisce a formare la mia consapevolezza integrata di questo singolo momento”.